Fra i miei sogni, c’è quello di diventare un PACER
Fra i miei sogni, c’è quello di diventare un PACER
La mia storia in molti la conoscono, molti altri no.
Allora partiamo così... un ragazzo con tanti chili di troppo, poca autostima e quella quasi continua “frustrazione di guardarsi allo specchio e non piacersi”.
Un giorno quel ragazzo decide di dare una svolta alla sua vita
Decide di punto in bianco di diventare un triatleta (qui lo riassumo in tre righe ma vi prometto che presto vi racconterò meglio questo percorso).
Gennaio 2015 - l'infortunio
Ma chi sono questi PACER!?
Pacer personale dei miei amici: la mia prova generale
Intanto continuavo a correre, pensate che a “Roma 2019” mi elessi pacer personale di due miei amici entrambi all’esordio maratona. Corsi la mia maratona per accompagnare loro. Uno dei due al km 8, cadde a terra per svenimento, era partito con il virus.
Pioveva, lo accompagnammo in ambulanza, stemmo con lui una ventina di minuti, non sapevamo più cosa fare…
Guardai l’altro ragazzo, un mio carissimo amico, mi disse:
“Marco io da solo non la finisco… Se tu non vai non vado neanche io“.
Non sapevo cosa fare, uno era in ambulanza, l’altro ad aspettare me per continuare il suo sogno.
Guardai Mich (era lui quello svenuto) dalla barella dell’ambulanza, mi accennò un timido sorriso:
“Marco vai, io sto meglio, ci vediamo dopo“.
Il cuore in gola me lo sento ancora adesso Se penso a quel momento. Guardai ancora una volta Mich, poi mi girai verso Matteo (l’altro ragazzo) e gli fece un cenno deciso con la testa per dire: "andiamo, tocca a noi".
Avevamo fatto 8 km sotto la pioggia, eravamo rimasti fermi 20 minuti, infreddoliti, con dentro un cumulo di emozioni contrastanti, ma ripartimmo come se la nostra maratona cominciasse proprio in quel momento.
Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro arrivammo sotto il colosseo… Matteo mi abbracciò forte, “Marco senza di te non ce l’avrei fatta”.
Luglio 2019 - c'è posta per me
Nella posta di arrivo della mia casella mail, c’è un messaggio di neanche 20 parole che non so neanch’io come definire…
“Ciao Marco, avrei un posto disponibile come pacer 3h50’, sei ancora interessato?
fammi sapere appena possibile, grazie.”
A scrivere era Julia Jones, storica capo tram pacer della maratona di Venezia.
Ed ora? Cosa gli dico?
Se la voglia di essere pacer da una parte era tanta, dall’altra la paura di non farcela era ancora di più.
Perché direte voi?!
Erano quelle 3 ore e 50 minuti a farmi paura; avevo già Corso Venezia, un anno prima, sebbene in condizioni estreme, vento ed acqua alta, ma avevo impiegato 3h39’ , e sebbene il tempo con cui sarei dovuto essere Pacer erano 10 minuti in più, a me quei 10 minuti sembravano davvero pochi per poter correre, incitare ed essere da sostegno e supporto ad altri.
Decisi di dire a Julia le mie perplessità, non mi sembrava molto comprensiva in quel momento, mi rispose: “Devi solo dirmi se lo vuoi fare o no”.
Me la stavo letteralmente facendo addosso, volevo farlo, ma avevo paura di deludere, tanta paura.
Scrissi ancora una volta a Julia, ribadendo tutte le mie perplessità/paure ma anche la mia tanta voglia di esserci.
Pensai tra me e me: “Questa volta mi manda a cagare”.
Mi rispose poco dopo: “Voglio darti questa possibilità, sarai affiancato da PACER esperti, il posto è tuo”.
Ragazzi ero al settimo cielo, non potete capire, stavo per realizzare un altro grande sogno.
Questo sogno realizzato
27 Ottobre 2019
Stranamente dalle solite vigilie pre gara, mi sentivo calmo, sereno. Finalmente potei conoscere Julia di persona e al contrario di ciò che mi era sembrata via mail, vidi ai miei occhi una persona davvero accogliente, sensibile, pronta a raccogliere tutte le nostre paure e perplessità per trasformarle in carica coraggio.
Come da prassi, venni affiancato a 2 PACER molto esperti: Beppe ed Alessandro.
Avevo cercato i loro nomi sui social già prima, quando ne ero venuto a conoscenza, giusto per farmi un’idea, ma la mia solita fortuna volle che nessuno dei due avesse Facebook o Instagram.
Vidi le loro facce per la prima volta quel giorno, il primo mi sembrava simpatico, mi accolse benissimo e fatto subito sentire a casa.. Il secondo giusto un sorriso e “Io sono Alessandro”.
"Andiamo bene", pensai dentro di me, "se domani “scoppio”, questo mi prendi a sberle".
E invece quel pacer, a primo sguardo un po’ “banfone”, fu il mio motore per tutta la maratona.
Già dai primi metri, mi fece sentire parte integrante di quel gruppo come mai avessi potuto immaginare.
Appoggiava le sue battute alle mie, ad ogni cartello chilometrico scandiva passo, tempo e secondi di gap, senza mai perder modo di sostenere e di incitare il gruppo che portavamo a seguito.
Beppe correva leggermente più avanti, un metronomo, runner d’esperienza con chissà quante maratone alle spalle.
Ale, un occhio sull’orologio, uno sul gruppo e non so come facesse, entrambi su di me, a verificare come e dove stessi, un po’ come a volermi “proteggere”.
Ogni volta che incrociavo il suo sguardo, praticamente sempre, per me voleva dire “VAI MARCO, CE LA FACCIAMO”.
È un’esperienza che porterò per sempre dentro di me, dall’abbraccio con il coach e Pam prima della partenza (c’erano anche loro) al passaggio con tifo da stadio in piazza San Marco, dalla gioia dell’arrivo in Riva Sette Martiri, a quella sorta di malessere quando vedevo ragazzi del gruppo che scortavamo non riuscire a tenere il passo. Mi sentivo impotente, provavamo ad incitarli, ma non era sufficiente, avrei voluto prestare loro le mie gambe, in quel momento, non so come spiegarlo, era un po’ come perdere un pezzetto di me stesso.
Bisogna comunque farsene una ragione, un PACER deve fare il massimo, il massimo per portare più gente al traguardo. Ma una volta fatto il massimo, bisogna continuare, bisogna farlo per chi in quel tuo passo vede “un sogno”, rallentare per aspettarne uno, vorrebbe dire deluderne magari 20.
E allora ho capito questo: che un Pacer, oltre che a un privilegio, è una responsabilità.
È qualcosa di grande, qualcosa che porterò per sempre con me, una felicità che non si può spiegare, una gioia che molti non possono capire…
Perché per essere Pacer bisogna essere certi innanzitutto che la felicità non dipenda da una posizione in classifica.
Io oggi sono felice, felice di avere realizzato un mio sogno…
Il sogno di un ragazzo di correre la sua maratona col palloncino… La prima di tante.
Cosa c’entra BIOTEX tutto questo?
BIOTEX è un po’ come me, ad entrambi piace sognare in grande.
BIOTEX è con me ogni giorno, in ogni allenamento, in ogni rincorsa verso nuovi traguardi.
Il mio capo preferito è la T-shirt Light Touch, leggera ed elastica, senza cuciture sui fianchi, mantiene il corpo asciutto e termoregolato Non solo durante le attività ma anche durante i momenti di pausa. Praticamente una seconda pelle.
I miei alleati Biotex sono: